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"Backstage" - Speciale Tuttoingioco
Laura Gioventù incontra il Prof. Evio Hermas Ercoli direttore artistico di Tuttoingioco
Laura Gioventù incontra il Prof. Evio Hermas Ercoli direttore artistico di Tuttoingioco
Macerata, Venerdì 12 Marzo 2010
Evio Hermas Ercoli, maceratese, professore universitario, autore, promotore e provocatore di eventi culturali. Personaggio poliedrico della cultura marchigiana e non solo; un persona autentica, che parla senza peli sulla lingua dicendo anche cose sconvenienti, ma sempre in buona fede. E’ stato l’ideatore e il conduttore della prima edizione di tuttoingioco 2009.
Tuttoingioco, evento culturale realizzato a Civitanova Alta (MC), ha ottenuto un notevolissimo successo, sia di pubblico, sia di critica, nonostante molti argomenti trattati fossero stati ritenuti troppo impegnati e specialmente contro lo scetticismo di coloro i quali reputavano le Marche una Regione sprovvista di richiami culturali a livello Nazionale.
(In celeste sono riportate alcune frasi estrapolare dei comunicati stampa della manifestazione.)
“… tuttoingioco sarà una palestra dove artisti, musicisti, giornalisti e grandi personalità della cultura giocheranno la loro partita culturale.”
Ora che la partita è finita da alcuni mesi, può dirci contro chi la giocavano questi personaggi della cultura, e chi ha vinto la partita stessa?
Queste personalità erano chiamate anzitutto a giocarla contro la ritrosia di se stessi. L’obiettivo era di farli mettere in gioco, di farli in qualche modo esporre, che non è di questi tempi una cosa semplice né scontata considerando il fatto che giochiamo tutti contro qualcuno: ci si maschera bene.
Si trattava di costringerli, un attimo, non dico a spogliarsi, ma almeno a togliersi la cravatta! E questa buona intenzione, a distanza di mesi, come dice la domanda, è stata colta dal pubblico che ha compreso l’onestà intellettuale dell’operazione ed ha aderito a questa scommessa: si è messo in gioco pure il pubblico; da una parte sul palco, dall’altra in platea, si è rotto un diaframma e si è stati insieme.
Ma, in definitiva, chi ha vinto la partita?
La partita è stata vinta dalla convivenza civile che, in una città governata dal centro-destra, si sia potuto organizzare un evento con l’intellighentia nazional-popolare, se vogliamo dire, della controparte, senza avere veti né critiche di parte, mi è parso di per se una vittoria.
Hanno perso di sicuro gli intolleranti, quelli che non prevedono la circolazione delle idee, che vivono ritenendo di non mettersi mai in discussione con altre idee, di non accettare, non solo il contraddittorio, ma anche posizioni che sono lontane dalle proprie.
Innanzitutto bisogna fare esistere delle idee. Le idee che facessero spettacolo, se devo essere sincero, io non ci credevo. Tant’è che avevo previsto delle situazioni, delle location, per usare un termine bruttissimo, di altro genere: chiostri, piccoli spazi, mai la piazza. La piazza contiene quattro mila persone. Quattro mila persone che ascoltano uno psicologo o un filosofo, nelle Marche, senza un appuntamento nazionale erano impensabili. Al Festival Della Filosofia Di Modena, il Prof. Emanuele Severino fa il tutto pieno dietro al Duomo e sono duemilacinquecento persone, ed è un richiamo nazionale. Nessuno, neanche il più ottimista, poteva prevedere la disponibilità di ascolto per le sole idee senza nessun cedimento verso lo spettacolo, e questo è stato il successo. Successo che però pone una questione: se si è evidenziato un tale bisogno di riflessioni filosofiche, che cosa sta succedendo dietro la solitudine di ognuno di noi, delle famiglie, del chiuso della quotidianità, della settimana lavorativa? La necessità di approfondire il senso della nostra vita è stata la sorpresa di tuttoingioco, la sorpresa più emozionante.
Avevamo previsto una situazione per un pubblico interessato al tema, all’oggetto. Presentavamo l’avanguardia, oppure il novecento, o una serata sul futurismo, e poi presentavamo il best seller del momento; pensavamo ad un determinato pubblico, un target, come si usa dire, invece … invece non è stato cosi, perché, da subito, ci siamo resi conto di una cosa semplice, mettendo insieme gli interessati di Ancona, di Jesi, di Ascoli, di San Benedetto e così via, abbiamo creato una massa molto consistente che altrimenti si sarebbe dispersa in piccoli gruppi, mentre, convogliata tutta a Civitanova Alta ha dimostrato, con le presenze, di essere molto numerosa. La situazione che si è creata è che c’è una sorta di barnum, una specie di gruppo itinerante, che è pronto a frequentare appuntamenti culturali elevati. E’ la prima volta che avviene nelle Marche, succede nelle altre manifestazioni similari come a Spoleto, a Mantova, a Modena e accade anche a Sarzana ma con numeri molto inferiori.
Che tutto ciò potesse accadere nelle Marche era auspicabile, ora, il problema di tuttoingioco non è quello che è stato, ma il vuoto che ha lasciato. Il vuoto quotidiano, il vuoto esistenziale. Noi abbiamo delle persone nella nostra Regione che sono in “cerca d’autore”. Quante sono? Tante!
In termini logistici tuttoingioco ha interessato solo la parte prospiciente il mare della provincia di Macerata, in futuro si potrebbe ipotizzare un maggiore coinvolgimento geografico allargando ad altre Province, parti o settori della manifestazione, oppure il limite è la Provincia di Macerata?
La prima domanda se l’è posta l’amministrazione di Civitanova la quale ha detto “… ma non realizziamo tutto a Civitanova Alta, facciamo qualcosa anche lungomare, in piazza, al porto”, mentre per me addirittura era troppo grande il centro storico di Civitanova Alta.
La manifestazione ha sue caratteristiche ben chiare e noi non possiamo disperderci, non possiamo cambiare e fare i nomadi. Il nomadismo culturale serve all’amministratore e al politico per dire ho accontentato un po’ la montagna, alla collina gli ho dato degli spettacoli teatrali e in spiaggia, al mare, faccio queste altre operazioni, ed amministro e governo il territorio.
Questo significa “assistere” con la Cultura un territorio: cioè riuscire a far vivere un territorio, la normalità. Noi non avevamo questo obiettivo, noi volevamo creare una situazione per cui dire “io qui esisto” e non esisto fuori da qui. Ed intendiamo continuare su questa strada.
A Civitanova Alta doveva essere concentrato tutto lo svolgersi della manifestazione e tutto in contemporanea. Volevamo il jazz ma senza perdere la filosofia, volevamo la filosofia ma senza perdere il teatro. Questo doveva essere l’obiettivo ed è stato centrato oltre ogni previsione, per cui dovremmo cercare di risolvere la questione della crescita e non solo il mantenimento dell’iniziativa.
Questo, per la prima edizione, nella seconda è previsto comunque un cambiamento?
L’evento è nato come una biennale da realizzare ogni due anni ed itinerante. Ma questa idea iniziale ha un peccato di origine non indifferente: è meglio farla ridotta ma annuale. Ed è meglio farla in un posto qualunque, anche in aperta campagna, ma che sia sempre quello. Per tantissimi motivi, io devo sapere che cosa sono, non posso fare il giostraio, che vado in giro con il circo, devo avere un profilo, un luogo, un topos e devo essere preciso con le date. Serve per dare alle agenzie turistiche la certezza di poter proporre ai turisti l’appuntamento con date certe per poterne ottimizzare costi e benefici. A questi va data la certezza del calendario e la certezza del posto. Se il posto non è certo e nemmeno il calendario, in questo modo noi buttiamo via l’oro. Noi stiamo bruciando un’occasione di promozione turistica delle Marche straordinaria, attraverso uno dei fenomeni che le Marche dovrebbero ambire che è la cultura.
Civitanova è considerata una specie di periferia industriale delle Marche e se questo luogo ha interesse per un appuntamento culturale qualche cosa deve rimettere in discussione. Noi abbiamo posto delle domande che avevano anche un carattere profetico ed esistenziale, chi siamo, cos’è la bellezza, cos’è l’essere ecc. con decine di telefonate di gente che voleva in qualche modo dire la propria sulla condizione dell’uomo oggi. La novità assoluta che tutto questo è avvenuto nelle Marche, e precisamente a Civitanova, crea la condizione di un ripensamento circa il rapporto fra produzione industriale e produzione culturale. Significa, per esempio, che tutti i marchigiani, a cominciare da noi due che stiamo parlando, si convincano che non siamo la periferia dell’impero, che non siamo all’ultimo posto, dopo i turchi, oppure i tartari, dove c’è il deserto. Noi siamo nel centro di un cambiamento, anche di mentalità, un cambiamento molto improvviso che prenderà tutti di contropiede. Non è la prima volta che siamo presi di contropiede nella società: ci ha colto alla sprovvista il futurismo, il dopoguerra, il sessantotto. I fenomeni culturali profondi non sono mai avvertiti.
“...tuttoingioco a Civitanova Alta vuole anche smentire la semplificazione di una geografia del pregiudizio, di città ‘maggiori’ destinate alla cultura e città ‘minori’ obbligate alla produzione materiale.”
Siete riusciti nella Vostra impresa di smentire questo pregiudizio oppure Vi siete arresi all’idea che la Regione Marche sia solo produzione materiale?
Questa mia valutazione deriva dal fatto che io sono maceratese, e come tale io sono convinto di appartenere alla città della cultura: Macerata è la cultura, dove non c’è Macerata non c’è la cultura. Questo è, se vogliamo, lo stereotipo del pregiudizio con cui campa un maceratese: vive di rendita; naturalmente questo non c’è più per cui i maceratesi hanno quest’atmosfera da nobili decaduti. In ogni caso questa situazione la dividiamo anche con Fermo, che ha avuto l’università e una grande vita nobile. I fermani si ritengono tutti dei lord, un po’ demodé. Stabilita quest’ atmosfera un po’ decadente, noi abbiamo un dinamismo ed una velocità che è accentuata enormemente da questi fenomeni, compreso anche quello di questa sera: mi intervista una rivista online, mi intervista una persona che sta registrando queste parole per metterle in rete, che sta lavorando su una terra che non ha più confini, che non ha più tracciabilità, che non ha più identità, che è una specie di cosmopolitismo dato dai passaggi dei bite dentro ad un computer. Questa cosa nel lungo periodo ci divorerà, ci lavorerà e ci modificherà tutti quanti, ed il diaframma che c’è fra me e il computer, fra me e la rivista online alla fine deve essere abbattuto perché voglio qualche boccata di ossigeno, di vita vera, esco, e il filosofo lo sento in diretta e dal vivo. Il problema è che nell’apnea in cui vive una persona tutta la settimana, alla fine, per sopravvivenza, ha bisogno di una pausa, e noi abbiamo dato la pausa.
Manca l’identità marchigiana. Qual è l’identità marchigiana? La produttività oppure un personaggio famoso? Un testimonial?
Sono stato interpellato da vari soggetti sul tema dello sponsor della Regione Marche. Su questo dobbiamo tutti avere un’idea. È obbligatorio avere una. Che cosa si pensa di Dustin Hofmann che legge Leopardi? Hanno raggiunto l’obiettivo, che era la promozione turistica delle Marche. La questione ha intrigato, ed è positivo. L’altra questione è, funziona il messaggio una volta che lo vedi? Questo Hofmann che si sforza con l’italiano, secondo me, funziona! Il personaggio c’è, funziona il paesaggio, anche se non c’è Macerata, ma funziona. Detto tutto questo, quest’operazione che mi costringe a interessarmi, che mi forza a rispondere invece di stare a parlare di tuttoingioco, va bene lo stesso, ma quanto è costato questo slogan? Una cifra pazzesca, mi pare due milioni di euro. Allora, se io ragiono non come l’organizzatore di tuttoingioco, ma come una persona di buon senso, io so, da quando mondo è mondo, che l’inserto che compro nella tua rivista, il trailer che mando per le sale cinematografiche, la pubblicità che faccio sul giornale, il costo materiale del grafico o dell’immagine è, di solito, un ventesimo di quello che è la spesa della comunicazione. Allora, questo messaggio, che per me funziona, ma che per altri non funziona, che costa due milioni di euro, dovrebbe avere una promozione nel mondo dai venti ai quaranta ai cinquanta ai cento milioni di euro. Mi spiego, se io Dustin Hofmann non lo faccio passare a New York, non lo faccio passare a Los Angeles, non mi va in Florida, non mi va in Australia, non mi va a Londra, non mi va in Austria, cioè non mi va in cento milioni di euro di spesa, ma a che serve? Forse serve alla vigilia elettorale, non c’è dubbio. Per la vigilia elettorale fa esistere le Marche, ma io ho forti dubbi che terminate le elezioni ci sia un budget per dare Dustin Hofmann in Spagna, ma facciamo solo anglofoni, anche darlo solo in Inghilterra. Siccome sappiamo benissimo che in bilancio non è previsto un euro per farlo passare, io credo che sia, ancora una volta, un’autoreferenzialità perché, lasciamo stare la polemica elettorale, mettiamo che sia tutto giusto, il problema è la cura del complesso di inferiorità dei marchigiani che sono della gente umile e servile, dei contadinelli, che sono sdoganati, che vengono in qualche maniera traghettati nel mondo internazionale dal personaggio totemico, dall’uomo guru che può essere Dustin Hofmann, quindi, dietro che cosa c’è? L’eterna provincia che ci perseguita.
Perché ci vergogniamo di essere marchigiani?
I marchigiani sono ancora i “cafoni” della canzone?
Chi è che non metterebbe in cantiere, dopo un successo del genere, dove io ho dato i dati verissimi, non ho truccato, cioè non ho fatto le manifestazioni sindacali, né gli altri eventi o iniziative tipo la notte bianca a Civitanova che in una sera fa trenta mila persone. Noi le abbiamo contate, in tutti i posti, non ci possono vivere più di sei mila persone là. Una sera, trenta mila persone significa che tu bari, tu dici bugie, e si mente sui numeri. Io ho dato dei numeri veri, ci sono stati centoventi mila visitatori, abbiamo analizzato da dove vengono e abbiamo fatto questo lavoro con l’Eurispes: una bellissima indagine, te la faccio avere, se vuoi. Di per se, se sono dati veri, bisogna mettere in cantiere una risposta all’altezza. Ci vergogniamo ancora per la presenza storica nelle Marche dell’agricoltura, il senso di umiltà, di umiliazione del contadino ce lo portiamo dietro tutti quanti. La mezzadria, il riconoscere l’autorità degli altri, poi considera che per secoli questa Regione è stata uno stato pontificio. Queste condizioni hanno lavorato alla base del marchigiano. Falso.
Falso? In che senso?
Il marchigiano è falso. Un marchigiano che è sincero rischia la pelle, si è formali, si è amici, si è forbiti, ci s’interessa. Ti faccio una prova del nove di questo, quanti ti chiedono “come va?” e tu rispondi “male”… e senti dire …”ah bene, sono contento” perché non gliene frega nulla di come stai e in questo c’è un retroscena non indifferente. Sono forme ipocrite, poi ci sono paesi profondamente cattolici, nel Veneto rispondono “comandi” perché ci sono secoli e secoli di servaggio. Le Marche hanno la loro tradizione, si pensava che arrivati alla seconda e terza generazione dopo il boom economico, dopo l’emancipazione, negli anni sessanta fossero cambiate delle cose. Stanno cambiando, però, credimi, il paesaggio è molto contraddittorio, fatto di luci e ombre.
Le colline ….
Ci sono luci e ombre, il fatto che riesca una cosa come tuttoingioco è una luce, il fatto che nessuno pensi che questo sia il grimaldello per lanciare le Marche, che non ci investano più di tanto, è l’ombra.
Da tuttoingioco potrebbe nascere una sorta di “estate marchigiana” sul modello di quella formulata da Nicolini … (Renato Nicolini è stato l’ideatore e il realizzatore delle edizioni iniziali dell’Estate Romana, famosa oramai in tutti il mondo.)
Tutti i modelli che seguono, compreso Renato Nicolini, vengono dalla grande intuizione che ebbe Giancarlo Menotti negli anni sessanta a Spoleto il quale mise in piedi una specie di circo, creò questo spettacolo per un’elite mondiale, tant’è che era il “Festival dei due mondi”: il pubblico era più americano che italiano, e quando andavo, i primi anni, alcuni spettacoli si svolgevano a New York, c’erano due sedi. Questa è stata la manifestazione che ha insegnato un po’ a tutti. Io però ti posso raccontare un aneddoto, ed è la prima volta che lo racconto, in assoluto. Menotti venne nelle Marche, prima di andare a Spoleto, negli anni sessanta, e andò dalla contessa Leopardi, per trovare un posto per questa idea che aveva di organizzare un festival. Lui era innamorato di Macerata, c’era lo sferisterio chiuso, c’è il teatro e con la contessa Leopardi venne in Comune a dire io vorrei realizzare una cosa di questo genere ma in Comune furono freddissimi così finì a Spoleto, una città abbandonata, un posto ormai dominato dalle capre. Quella di Spoleto era una città ancora medievale perché non c’era stato più sviluppo, era abbandonata dal mondo. Macerata gli chiuse le porte in faccia e questo, chiedi anche all’On. Roberto Massi che è il Presidente della Fondazione Bandini, per dire quante cose nelle Marche non hanno accoglienza. Nelle Marche chi riesce significa che ha grandissimi numeri, perché è tutto più difficile. E’ tutto più difficile!
Sarà orgoglioso allora …
Io lo dico anche per te, se tu venivi da fuori e avevi un biglietto da visita milanese, i tuoi “scarpari” avevano un altro atteggiamento. Non possono credere che tu sei portatrice di una grinta da Fermo, non puoi essere qualcuno con un giornale marchigiano, tu devi venire con una presentazione di Vanity Fair e dire un mare di stronzate e vieni presa molto sul serio. Questo è lo scotto del provincialismo. Se a tuttoingioco avessimo dato ascolto a questo provincialismo io dovevo mettere i cantanti famosi, le ballerine brasiliane, il prestigiatore di un certo tipo, capisci? Se io volevo il successo secondo lo stereotipo, avrei dovuto fare un’altra cosa; dato che ero libero di fare una roba che accontentava la fame di filosofia e di conoscenza … il fatto che mi ha sorpreso è che quando mi sono girato stavo insieme a tanta gente, stavo insieme a tanta compagnia. Questa è l’unica vera questione di tuttoingioco: la novità del pubblico perché il prodotto poteva andar bene per duecento persone.
Magari la gente voleva proprio qualcosa di diverso, qualcosa di spessore. L’hanno trovato ed hanno risposto in tanti.
L’altra sera c’è stata una serata da tregenda, è nevicato, un disastro, martedì sera (9 marzo) c’è stato un casino, stavo al Teatro Filarmonica di Macerata, ho fatto un talk show con il Prof. Stefano Zecchi e lo abbiamo fatto tipo tuttoingioco, abbiamo ricreato uno studio televisivo ed era insormontabile, con le macchine non si viaggiava, tutta neve e pacca, io ho preso pure un malanno, avevo le scarpe bagnate ma il teatro era pieno zeppo. Zecchi ha dato il meglio di se, naturalmente siamo partiti da tutta la genetica attuale e così via, e non siamo mai scesi per terra sulla campagna elettorale, la gente era felice, quindi c’è qualcosa nell’aria.
Come nasce un’idea come tuttoingioco, dall’intuizione di un momento, oppure dall’elaborazione nel tempo?
L’idea nasce, per essere sinceri, da questo: io sono stato per quattro anni nel consiglio di amministrazione dello Sferisterio, noi siamo entrati che lo Sferisterio doveva chiudere per i debiti, una cosa folle, c’era da andare in tribunale, non si poteva chiudere perché dovevamo pagare un mare di rate arretrate, abbiamo risanato il tutto e abbiamo rimesso in piedi la baracca con uno sforzo enorme facendo anche dei tagli dolorosissimi. Se uno dice taglio significa dolore, non è vero? Tuttavia allo Sferisterio, tu ne converrai, come chi ci legge, c’è qualcosa che non funziona: non è possibile che dopo quarantaquattro edizioni abbiamo venticinque mila spettatori paganti, e non c’è uno che si ferma a mangiare una pizza. Avevamo inventato il festival, tant’è che oggi si chiama, è un termine che ho inventato io, Sferisterio Opera Festival. Ma no! Tu copi Rossini, il Rof (Rossini Opera Festival), ma a me non me ne frega niente, perciò un festival, tant’è che io organizzai gli aperitivi culturali, in altre parole, a pranzo, incontravi l’artista o incontravi il personaggio stravagante e parlavamo di lirica non solo in maniera seria ma anche sociologica, filosofica, storica, comica, per cambiare il punto di vista. Allora noi pensavamo, come fondazione, di fare questa cosa intorno alla lirica in maniera schioppettate. Noi abbiamo il prodotto: la lirica; il luogo: lo Sferisterio; il pubblico: venticinque mila spettatori paganti, ma vai nel mondo! Volevamo mettere insieme un botto colossale, considerando che gli mancano sempre i soldi per esistere, gli mettevamo a disposizione i soldi per promuovere, con intelligenza, l’intrattenimento, lo spettacolo, la promozione in giro per il mondo ecc. Macerata, che è una città identica a tante altre città, come Fermo, come Jesi, come Ascoli, ha il timore-terrore della novità. Cosa comporta la novità non lo so … e questi ci hanno detto di no, e anche in malo modo, e che non era il caso di fare una cosa del genere. Civitanova, che invece vive la novità e che esiste perché è una realtà di immigrati, non esisteva due generazioni fa, erano solo dei pescatori, come Sant’Elpidio, questi hanno detto venite da noi, porte aperte! Così è nato tuttoingioco. E’ partito da una speranza culturale, siamo andati a far cultura a Civitanova e quando sono arrivato a Civitanova hanno detto, “… ma scusa, questo programma per chi è? Uno solo con la laurea entra …”, e invece …
“… Non un convegno declamatorio, ma un programma di investimenti reali e di realizzazioni concrete.”
Ci illustri le ricadute turistico-culturali dopo il successo della prima edizione. Sono state come nelle Vostre attese, oppure qualcosa poteva andare meglio e che cosa potrebbe essere mancato?
Ebbene, le ricadute sono queste: tutti hanno visto come si può fare e come si deve fare e tutti lo imitano. Io ho decine di casi che fanno un simulacro di tuttoingioco “scenò de noaltri”. Nei paesetti chiami un intellettuale poi ci metti dietro un po’ di jazz e il gioco è fatto. Le cose che non hanno funzionato sono tantissime, adesso non entriamo nei particolari. Che ti posso dire, ho messo in programma un centro straordinario di enogastronomia, mi si è tirato indietro quello che lo doveva fare la sera prima di iniziare, e nessuno ha potuto mangiare e bere come dicevo io. Io avevo messo in piedi un’eccellenza dell’enogastronomia e del bere, per cui non so che cosa sarebbe diventato tuttoingioco, comunque tutto lo spazio dell’ex liceo classico era previsto per la degustazione. Noi non li abbiamo sostituiti con niente, quindi, la gente veniva su e non poteva nemmeno consumare il caffè. La cosa che deve andare in assoluto miglio è questo: io ho chiesto a tutti, compreso me, di scrivere una pagina nuova. Io voglio fare un’esperienza che mi porta a mettermi in gioco e la faccio veramente, e non la faccio per soldi. Noi stiamo parlando di gente che è venuta quasi gratis, tuttoingioco non costa niente. La cosa sulla quale essere più esigenti e su cui lavoreremo in termini specifici è la pagina inedita: io voglio che tu vieni nelle Marche, mi ti metti in gioco veramente, nel senso che tu, su questo tema, ti prepari, e noi abbiamo avuto casi clamorosi, per esempio Cacciari ha scritto tutto un saggio, di gente che all’occasione non fa la comparsata, ma che chiamati su un tema dice qualcosa di nuovo e l’inedito, fatto in Provincia, diventa centralità, diventa contemporaneità, diventa spessore culturale. Diventa cultura. Altrimenti hai consumo della cultura e non produzione della cultura. Noi dobbiamo puntare di più sul passaggio dal consumo alla produzione, cioè tu non devi venire e dire passo una serata e me la succhio, me la consumo, me la bevo, ma io sono di fronte a un fatto culturale. Io credo che qualche volta è successo, spesso non è scattata la scintilla, ma lì bisogna andare a casa turbati, devi essere da una parte soddisfatto di esserci stato, dall’altra devi rimanere inquieto per i problemi che ti ha scatenato, io non credo che tuttoingioco debba diventare un luogo consolatorio della cultura.
“…la Biennale ha chiesto il coinvolgimento e la mobilitazione della cultura nazionale. Interverranno i più grandi intellettuali italiani, (che verranno) affiancati da contributi importanti della cultura marchigiana.”
Questa miscellanea di esperienze culturali ha dato i suoi frutti oppure qualcosa ha complottato contro non riuscendo a far emergere i contributi nel loro significato autenticamente territoriale?
Senz’altro quello che ha complottato di più contro questo obiettivo, che dovrebbe essere superato nella seconda edizione, è la tempistica: noi abbiamo fatto il programma a Giugno. Per cui abbiamo utilizzato, io, gli altri, lo staff, le risorse disponibili in estate e abbiamo calendarizzato il programma dal primo al 15 giugno e siamo andati in stampa il 16 di giugno. Abbiamo messo dentro molta università, Camerino e Macerata, abbiamo messo dentro alcune associazioni, alcune scuole, però abbiamo lasciato fuori un mare di gente, e non abbiamo utilizzato anche una gerarchia, quello che è meglio, quello che è peggio. Sta che fare selezione è di per se sbagliato perché bisogna dare spazio all’inedito, come ho detto l’inedito alto ma anche basso, io devo essere qualcuno che dice qualcosa di nuovo, però, se mi consenti, a favore di questo discorso, partecipa questo che, noi abbiamo messo un luogo per la poesia, un luogo per la scienza, un luogo per letteratura e pensavamo di avere una coperta corta per cui se la gente andava da una parte non andava dall’altra e invece andavano da tutte le parti e dovevamo mettere in piedi più luoghi. Per la poesia, per esempio, bisogna mettere in piedi proprio un luogo specifico, come per la letteratura. Noi li abbiamo messi tutti insieme, invece potevano vivere autonomamente, sono pubblici diversi. Le cose da correggere sono tantissime. Il problema non è avere la penna rosso/blu ma soprattutto avere la certezza del luogo.
Parliamo di impatto lavorativo, tuttoingioco ha evidenziato l’importanza di figure professionali importanti. I nostri giovani interessati a partecipare, non solo come spettatori, come potrebbero trovare uno sbocco lavorativo nell’ambito di tuttoingioco? Oppure prevedete spazi per esordienti per dare vita a un ipotetico Festival delle nuove fantasie a cui potrebbero concorrere i ragazzi Marchigiani?
Questa seconda domanda, è una cosa molto intrigante, ma penso che sia molto nella mente dell’intervistatrice. E poi noi abbiamo fatto lavorare solo persone del posto, tutti quanti, dall’ufficio stampa al resto. Quanti hanno lavorato a tuttoingioco? Guarda noi abbiamo avuto un indotto dalle ottanta alle centoventi persone, che sono tante e questo è il vero costo della manifestazione. Sono le persone che lavorano il vero costo, il resto non costa niente: il jazz costa quattrocento euro.
Oliviero Toscani, quanto è costato?
Oliviero Toscani è la cosa più cara, non la farei mai più, la mostra di Toscani è stata la cosa più costosa della manifestazione, hanno voluto tantissimo, cento mila euro. Terribile.
Questo non lo scriviamo …
E mi ha messo poco …
Piergiorgio Odifreddi, per esempio?
Odiffredi di solito è il più caro, ha voluto tre mila euro.
E Bruno Gambarotta?
Gambarotta è venuto gratis, solo cinquecento euro.
Mi chiami un cantante, uno sfigato qualunque, uno che qualche volta è passato a Sanremo, quanto ti costa? Venti mila euro, quindici mila euro? Io ho fatto tutto il jazz a ottocento, seicento, quattrocento euro. Pochissimo. Il problema è che più vai verso la qualità più trovi gente che è pronta a tutto, poi il problema è la scenografia, la teatralità della situazione.
Il Principe Emanuele Filiberto?
Il Principe è venuto gratis, completamente gratis e non ci si crede, pensano sia stato pagato. Se lo avevo pagato venivo linciato perché ho avuto tante critiche …
Ogni domanda di queste è un piccolo stage. Allora, quanti hanno lavorato? Quanti possono lavorare? Quanti dovrebbero lavorare? Come possono lavorare? Ma qui è un tema di per se, è importante! Allora l’encoming chi lo fa? Nessuno. Ha organizzato qualcuno per l’accoglienza e per il resto? Nessuno. Io ho potuto far lavorare solo nei lavori umili gente che era laureata, gente laureata, anche in filosofia, ha fatto la mascherina. Se questa cosa è stabile e continuativa nasce un business enorme, da morire. Tu pensa solo per il turismo quello che sarà avere la certezza che in quei tre giorni vieni nelle Marche, gli dai il mare e dopo cena gli dai un filosofo gratis.
Sull’occupazione, su questo, facci un altro servizio. Quanta potenzialità c’è? Mi dici a che cavolo serve scienze della comunicazione, il lavoro che fai tu, se non si misura con questi fenomeni? A che serve? Se ti dico l’altra parte della medaglia e non registri, ti metti paura: noi siamo preda di tutti gli avventurieri nazionali e non diamo niente a nessuno locale.
Se ti interessa tuttoingioco per spendere una riflessione, tu considera questo: tu stai facendo un lavoro, e lo fai, ho visto il piglio, la questione, le domande, e lo fai puntando altissimo. Tu ci credi e ti ci metti tutta e lo fai, o perlomeno, ambisci a farlo con grande professionalità, e ti trovi di fronte un personale che considera il tuo lavoro o completamente inutile oppure non pagabile. Tu lo sai che io pago qualunque prestazione e sono pronto a non darti una lira. Tu hai di fronte questo. Te lo neghi, ma è così. E’ drammaticamente così. Il tuo valore intellettuale, il tuo valore personale non viene assolutamente accettato. Guarda, la questione di tuttoingioco è: quanto cavolo impiega a rovesciare questa situazione? Quanto impiega tuttoingioco a rovesciare questa tirannia di subalternità e di sottoimpiego. Su tuttoingioco che diventi un volano delle energie non solo intellettuali, ma anche morali, delle nuove professioni o di altro? Innanzi tutto la benedizione è che quest’operazione che aveva questo tipo di velleità, di presunzione, è stata benedetta dalla fortuna, e su questo, adesso l’errore che si può fare e che sarebbe letale è quello del riflusso. E’ quello di dire è stato un evento, un accadimento, un episodio, non è la normalità, noi non siamo di fronte ad un cambiamento di marcia, un cambio di velocità ma è stata una parentesi. Se è una parentesi, tutti quelli che vogliono fare questa operazione in questa maniera sono spiazzati, se non è una parentesi, ne ha giovamento Fermo, Ascoli. Ascolta. io sono stato interpellato, tramite diverse persone, dal Sindaco di Ascoli; questa cosa qui è contagiosa, del resto, credimi, la cosa che volevano sapere è come si fa a rimediare … e se ci pensi bene, tutte le Marche sono votate a queste situazioni. Pensa a Fermo …
“… il Festival della filosofia di Modena, il Festivaletteratura di Mantova, il Ravello Festival, la Festa del Cinema di Roma o al Festival Economia di Trento.”
Sono manifestazioni da Lei citate come esempi di successi, tuttongioco è riuscita nell’impresa di essere promossa fra queste oppure non ha ancora la “squadra” per poterne far parte?
La squadra ce l’ha, in tutti i sensi. Il festival del pensiero dell’ultimo week end, ma anche gli appuntamenti precedenti, quello della matematica, della scienza erano senza paragoni nell’agone nazionale dei vari appuntamenti filosofici e scientifici. Forse tuttoingioco paga un handicap che è quello di essere l’ultimo arrivato in questa situazione, nel senso che tutte le altre realtà hanno un appuntamento consolidato, tuttoingioco si è presentato per la prima volta sulla scena, ma penso si è presentato con delle caratteristiche straordinarie perché noi abbiamo avuto i numeri uno della filosofia, della scienza, da prima fila da Massimo Cacciari a Piergiorgio Odifreddi, da Giulio Giorello a Ennio Peres, da Gianni Vattimo fino a Sergio Givone e Giuseppe Ferrari. Se tutta la pubblicistica attuale tiene presente del lavoro fatto, si tratta di confermare questi appuntamenti, di ripeterli negli anni. Tutto qui.
Siamo partiti bene!
Siamo partiti molto bene, il problema è, dove arriviamo? Il problema, non è chi siamo ma che cosa saremo?
La collaborazione fra manifestazioni Culturali e Fondazioni Bancarie, alla luce dell’esperienza di tuttoingioco, secondo lei è la soluzione migliore oppure occorrerà cercare sinergie diverse per il futuro?
Innanzi tutto le fondazioni bancarie oggi sono le uniche che possono in qualche maniera foraggiare appuntamenti che non siano legati alla quotidianità degli assessorati alla cultura. Per cui se uno vuole mettere in cantiere un festival o una mostra, un appuntamento nazionale che non abbia un carattere tutto locale di politiche amministrative deve ricorrere alle fondazioni. Questo avviene un po’ ovunque, questo è il futuro degli appuntamenti culturali. Da una parte, dall’altra bisogna pensare a escogitare un sistema che consenta alla cultura migliore di essere in qualche modo ospitata in questi appuntamenti. La cultura migliore, sia locale, sia regionale, sia nazionale.
Potrebbero le fondazioni iniziare a finanziare anche il credito alla piccola impresa giovanile oppure alle idee fantastiche dei giovani?
Per rispondere ad una cosa del genere ci vorrebbe un altro tipo di intervista e di lavoro, però la verità è che in una situazione come quella che abbiamo vissuto di tuttoingioco c’era coinvolto dallo 0,1% al 3% dell’occupazione giovanile e questo è il massimo che può esprimere un appuntamento del genere o altre situazioni. Secondo me siamo al minimo perché non abbiamo obblighi, impegni e relazioni sul territorio. Io credo che questi appuntamenti possano essere la vera sponda di quest’occupazione e si parla di un settore che va dagli istituti tecnici professionali fino agli uffici stampa ecc. Questa è una domanda che dovrebbe prevedere un’intervista apposita. Quale futuro c’è di occupazione nel settore degli eventi, nei settori degli appuntamenti culturali? Si può fare economia in questo settore? Si può rispondere in tantissimi modi: da una parte bisognerebbe avere la certezza degli investimenti, dall’altra ci vuole un minimo di professionalità nella risposta. Siccome le due cose non entrano sempre in sintonia, io investo, però non mi fido di te e tu non esisti per me, alla fine non ci si incrocia. Questa è la questione. Quindi io alla fine faccio occupazione per gli esterni, per i non marchigiani, per quelli che sono fuori dal giro, mentre quelli che rimangono nel giro si occupano delle proloco, della festa di campanile e non riescono ad entrare in questo tipo di sistema. È questa la “porchetta” che bisogna abbattere. Non so se mi sono spiegato …
Questa domanda la tralasci, facciamo un’altra cosa. Se vuoi fare una questione sull’occupazione, esiste un investimento culturale? Questa è una cosa attuale che si chiedono tutti. Non mescoliamo il sacro con il profano, non mescoliamo il successo, lo spettacolo, l’intrattenimento con l’occupazione, c’è tutto un altro settore ed è molto più specifico e più intrinseco. Quello che io posso dire sullo spettacolo è una mia opinione, io posso dire la mia, tu hai la tua, ma sull’investimento, sulla questione di come do lavoro a te e a tutti gli altri è un'altra questione. Ma non è come io do lavoro, ma come si crea lavoro. Si crea solo e unicamente se noi attiviamo una realtà che non prevede la presenza di esterni ma prevede la circolazione. La questione è molto complicata e molto specifica.
La biennale si era proposta come “spendibilità culturale”con funzioni sociali, e voleva affrontare la sfida per dare vita ad una nuova coscienza dell’intrattenimento nell’ambito del turismo culturale in quella grande città fra Rimini e Pescara che altro non è che la Regione Marche. Tuttoingioco ha raggiunto il suo obiettivo e potremmo dire la seconda edizione avrà molti altri spunti di riflessione che Lei magari potrà anticiparci ora?
Esiste una città adriatica fra Rimini e Pescara, c’è, ed è una città fuori dai Comuni, è lungo un asse adriatico che è quello che attraversa Senigallia, Pesaro, Fano, Porto Recanati, Porto d’Ascoli e così via, ed è una città costiera. Questa città costiera ha a che fare con Civitanova? Sì. Civitanova è il centro! È la prima uscita autostradale, è epicentrica a tutto questo sistema, è molto costiera, e così via. Il nostro centro storico non è stato costruito e realizzato casualmente, è l’unico centro che si trova più vicino all’autostrada, rispetto a tutti gli altri centri storici interni delle Marche. E l’uscita autostradale di Civitanova è la più importante delle Marche perché è l’uscita che ha il più grosso transito e il più importante traffico delle Marche. Detto tutto ciò siamo di fronte ad un fenomeno che in qualche maniera insiste sulla città adriatica. Su una città alla Marco Ge, cioè una città invisibile e visibile. Detto che tuttoingioco non si è collocata casualmente su Civitanova Alta e non è scesa a valle né salita a monte perché è il posto più raggiungibile delle Marche, tuttoingioco rispetto alle prossime edizioni è senz’altro all’anno zero. Il capitolo che abbiamo aperto è completamente ingenuo, è naif rispetto a quello che può essere. Tuttoingioco futuro è un tuttoingioco legato a un tema, connesso a un appuntamento tematico. Io scommetto su questo, se noi riusciamo a dare delle risposte al tema che affrontiamo, a livello nazionale e internazionale noi abbiamo il motivo di esistere. Se noi affrontiamo il tema dell’illusione, il tema dell’inganno, il tema dell’immagine e dell’apparire o della rappresentanza di se, del benessere e dello star bene con se stessi, che sono i temi che si agitano in questa vigilia, noi scriviamo una pagina mondiale nuova anche chiamando delle risorse europee. L’anticipazione è che non possiamo vivere solo di personaggi nazionali noi dobbiamo pensare alla cultura europea, noi dobbiamo fare un centro europeo. Dobbiamo essere, da questo punto di vista, molto più internazionali.
E per finire … I nostri “ritrovi serali” sono molto apprezzati e rinomati al punto da poter essere un valido partner promozionale per la manifestazione, è possibile una partecipazione attiva e coordinata delle strutture dell’intrattenimento serale territoriali nell’ambito di un allargamento della manifestazione, sia dal punto di vista culturale sia dal punto di vista meramente ludico?
Il pubblico di tuttoingioco è un pubblico adulto. Non è un pubblico giovanile. Se noi abbiamo avuto dei limiti è proprio sul pubblico giovanile. Il pubblico giovanile è rintanato nella discoteca babaloo, era in questi posti qui e stanarlo e portarlo a tuttoingioco non è stato semplice e non ci siamo riusciti. E’ giusto che noi ci interessiamo di questo tipo di pubblico e loro di noi? Certo, questo è un settore di ricerca. Il problema è se questa manifestazione per avere questo pubblico deve cedere, deve scadere, quale compromesso deve pagare? Si riesce a conciliare un pubblico come quello da tuttoingioco con un pubblico da discoteca? Qual è il trait d’union, quale è il passaggio, il personaggio, il demiurgo oppure la situazione che crea un transito del genere? Noi abbiamo un pubblico molto ben definito, e abbiamo un pubblico ben definito da quello delle discoteche. Questi due pubblici non si incontrano, non si incrociano, non si uniscono, dobbiamo pensare a metterli insieme. Come? Questa è una sfida! E’ un modo di intendere le cose. Se noi lavoriamo su tuttoingioco con la sicurezza e con l’appagamento di quello che siamo, sbagliamo! Noi dobbiamo lavorare con l’incertezza, le inquietudini, gli interrogativi di non essere adeguati.
di Laura Gioventù